Scandalo security, il super perito Dezzani fuori dall'inchiesta: posizione archiviata
Proprio oggi, giovedì 12, Giuseppe Dezzani dovrà cominciare ad esaminare i reperti dell'omicidio di Sharon Verzeni, brutalmente uccisa a fine a luglio a Terno d'Isola, in provincia di Bergamo. Un delitto che ha scosso l'Italia. Uno dei tanti (importantissimi) casi giudiziari di cui il noto pinerolese, classe '69, fondatore e Senior Partner dello Studio Di.Fo.B. Digital Forensics Bureau (con sede in Piazza Roma a Pinerolo) ed esperto informatico di indubbia competenza, in questi anni di attività è stato chiamato ad occuparsi. «Gli inquirenti ci hanno affidato le analisi tecniche», conferma. Oggi però potrà farlo un po' più a cuor leggero. In mano ha il decreto di archiviazione per un'indagine che lo riguarda e che da quasi tre anni lo tormenta.
Un passo indietro: da "Bigliettopoli" a oggi
Per capire indagine e storia occorre fare un bel salto indietro. Tutto ebbe inizio nel lontano 2015 col procedimento (intricatissimo e controverso) battezzato "Bigliettopoli" . Da qui, nel 2021, si sviluppò un nuovo filone, relativo a presunte irregolarità nella gestione della sicurezza privata e grandi eventi. Quando, a dicembre 2023, i pm Gianfranco Colace e Giovanni Caspani chiusero le indagini, tra i 28 indagati (accusati a vario titolo di ben 26 capi d'imputazione) spuntarono i nomi di due noti pinerolesi: Dezzani, appunto, e Riccardo Ravera, 61enne ex maresciallo, meglio conosciuto come "Arciere" (uno degli uomini dei Ros che arrestarono Totò Riina nel '93). Fu pure comandante del Nucleo comando dei Carabinieri di Pinerolo e dopo la pensione divenne consulente di società di investigazione privata.
Quanto a Dezzani (difeso dagli avv. Lorenzo Imperato e Selena Ricca), nel 415bis di dicembre, una sola era la contestazione a suo carico: l'"accesso abusivo al sistema informatico" del dipendente infedele di un'azienda. Pochi mesi più tardi (30 aprile per l'esattezza) la Procura ha però chiesto l'archiviazione del procedimento. Richiesta oggi accolta dalla gip Angela Rizzo.
Detto in sintesi, quel cellulare, come peraltro il super perito aveva sempre sostenuto, non era del dipendente, ma dell'azienda che gli aveva conferito l'incarico di visionarlo. Quindi, nessun accesso "abusivo". «Quasi 4 anni per dire che il fatto non sussiste - commenta laconico -: l'analisi contestata dalla Procura risale ad ottobre 2020, ma solo a dicembre dell'anno dopo, quando fu eseguita la perquisizione nei nostri uffici, ho saputo di essere indagato».
Più complessa la posizione di Ravera (assistito dai legali Fabrizio Siggia e Francesco Romito) su cui pesano ben 14 capi di imputazione. Dopo la pronuncia del gip Rizzo, due sono stati archiviati, così come la procura aveva chiesto: accesso abusivo al sistema informatico ed esercizio abusivo della professione di investigatore privato. Restano quelli più pesanti, dalla corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio all'associazione delinquere, dalle interferenze illecite nelle vite altrui (persino avvalendosi di metodi assai poco ortodossi comel'ultizzo di escort) alla violazione degli archivi delle banche dati delle forze dell'ordine. Una montagna di accuse che Ravera ha sempre decisamente respinto ed è certo di poter smontare, «pezzo a pezzo».
In foto, Giuseppe Dezzani, immagine di repertorio.
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Paola Molino