Tribunale: l'ex direttore Asl To3 Boraso difende con forza l'appalto incriminato

Tribunale: l'ex direttore Asl To3 Boraso difende con forza l'appalto incriminato
Domenica 26 Gennaio 2025 - 07:23

Lo sa bene che cosa ha trovato nella primavera di 10 anni fa quando sbarcò all'AslTo 3. Chiamato a dirigere un'azienda sanitaria, la Pinerolo-Collegno, che al tempo era la più grande del Piemonte. Sa cosa ha trovato, sa cosa c'era nei cassetti lasciati dai predecessori, sa cosa c'era nei reparti e negli ambulatori. Un'Asl «disastrata». Dice proprio così Flavio Boraso, classe '61, direttore generale dell'Asl To3 dal 1° maggio 2015 al 31 dicembre 2020. L'emodinamica che andava a pezzi, macchinari obsoleti («la vetustà media delle apparecchiature era di oltre 20 anni»), tecnologie non al passo con i tempi (o del tutto inesistenti).

L'ex dirigente ben conosceva la situazione, ben sapeva cosa servisse per far funzionare i reparti e rispondere alle esigenze di medici e cittadini, ma pure quanto ci fosse in cassaforte. «Non c'erano soldi. Nel 2015 su un miliardo di bilancio c'erano 80mila euro per investimenti in conto capitale». Briciole, insomma. E senza soldi, non si fa programmazione.

 

Boraso ai giudici: sono felice di rispondere

Racconta questo e molto altro in un'aula di Tribunale. È venerdì 10 gennaio: quinta udienza di un complicato processo relativo a presunte irregolarità nelle procedure di partenariato pubblico-privato (PPP) per la fornitura di apparecchiature biomedicali all'Asl di Collegno e altre strutture. Un mega appalto da 57 milioni di euro, per la concessione di servizi di risonanza magnetica per gli ospedali di Rivoli e Pinerolo e di Tac per quello di Venaria (comprensivo di archiviazione immagini attraverso il sistema Ris-Pacs, formazione del personale e lavori di manutenzione) su cui il pubblico ministero Gianfranco Colace puntò gli occhi ad inizio 2018 dopo aver ricevuto un'informativa confidenziale e un esposto dei consiglieri regionali Cinque stelle.

Cinque gli imputati, tra cui anche un maresciallo della Finanza e uno dei Carabinieri, ma su tutti proprio il manager Flavio Boraso (difeso dall'avv. Vincenzo Enrichens), accusato di falso, turbativa d'asta e corruzione in concorso con Antonio Marino, legale rappresentante di Althea Italia (società leader nelle tecnologie biomediche e già presidente del comparto Sanità dell'Unione industriale di Torino), che il 12 febbraio 2018 si aggiudicò l'appalto. Il primo avrebbe favorito il secondo, ottenendo in cambio un incarico per un'amica radiologa.

Saranno le giudici della Terza Sezione penale (presidente del Collegio Immacolata Iadeluca, a latere Federica Florio e Milena Chiara Lombardo) a dire se le procedure di affidamento furono o meno regolari. Lo faranno il 4 febbraio, quando (forse) si arriverà a sentenza. Fino ad allora dobbiamo accontentarci di quanto sentito in aula ed emerso a dibattimento, persino da quanto dichiarato dai consulenti della Procura. E da quelle testimonianze non sembrano risultare irregolarità nelle procedure di gara (passate pure al vaglio dell'Autorità nazionale anticorruzione) o pressioni per improprie assunzioni. Al contrario i testi fin qui esaminati hanno ribadito che le tecnologie oggetto del PPP hanno portato a consistenti risparmi economici per l'ente (tra l'altro l'accordo prevedeva che fosse il privato ad accollarsi l'inflazione), e rilevanti benefici agli operatori sanitari e ai cittadini, permettendo pure «di affrontare il Covid con un'altra tranquillità», come aveva ricordato (sempre in aula) Franca Dall'Occo, ex direttrice generale dell'Asl To 3, da pochi giorni alla guida del Mauriziano.

Nell'udienza del 10 (ad oggi l'ultima) Boraso ha difeso con convinzione, lucidità e precisione la bontà del suo operato e quello della sua squadra. Ha difeso e motivato la decisione di ricorrere allo strumento del PPP, una forma di cooperazione pubblico-privato che solo nell'aprile 2016 era stata introdotta nel nuovo codice degli appalti, ma che lui ben conosceva per averla studiata nei paesi anglosassoni, dov'era già ampiamente usata. Così la To 3 divenne la seconda Asl in Piemonte (dopo Novara) a far appello al denaro privato per permettere all'ente pubblico di fare preziosi, e ormai irrinunciabili, investimenti. E fu così che lui e Marino (assistito dagli avv. Mario Almondo e Paolo Pacciani) finirono indagati.

«Sono felice di rispondere perché in otto anni nessuno mi ha mai posto domande sulla questione del PPP», ha ricordato Boraso. Così, quello che aveva dentro in tutti questi anni, dopo averlo scritto in un corposo memoriale consegnato in Procura il 5 luglio 2018, l'ha finalmente tirato fuori venerdì, sottoponendosi a esame del pm e del suo legale, che ha messo a fuoco tutti i punti contestati nei capi di imputazione e gliene ha chiesto conto. E quando dalle tre giudici non è arrivata nessun'altra domanda, si è pure dispiaciuto. «Credo di essere stato corretto e di aver dato un contributo alla verità dei fatti», ci confida dopo l'udienza. Vedremo a febbraio cosa dirà la Corte.

 

Il finanziere, il carabiniere, i manager e i Servizi segreti

Nell'ambito di questo complicato procedimento, oltre a quello che riguarda più specificamente Boraso c'è un altro filone che si concentra su un presunto rapporto corruttivo tra Antonio Marino, il maresciallo della Finanza Michele Alterio, al tempo in servizio alla Dia di Torino (a difenderlo, gli avv. Davide Berti e Andrea Casiraghi), e Davide Gagliardi, già nel Cda di Althea (avv. Alberto Berardi del Foro di Padova).

Detto in estrema sintesi, il finanziere avrebbe rivelato a Marino alcune informazioni delicate, raccolte nell'ambito di una riservatissima attività d'indagine, ottenendo in cambio la promessa che i due manager di Althea si sarebbero interessati per consentirgli di ottenere un incarico nei Servizi segreti, cui molto aspirava e per il quale nel 2013 aveva già superato le visite mediche, ma che mai ottenne. Di fatto, sempre quanto emerso venerdì 10 gennaio dall'esame dei testimoni non pare offrire elementi per confermare l'ipotesi accusatoria: nessuna pressione da parte di Marino sull'ex colonnello della Finanza Giorgio Dedonno, già capo settore della Dia e ora in pensione, per ottenere informazioni su procedimenti in corso (come l'ex ufficiale ha ribadito), né intercettazioni (quantomeno quelle a partire dal 10 aprile 2018, perché le precedenti non erano state autorizzate dal gip e dunque non sono utilizzabili in questo processo) che rivelino interessamenti o mediazioni corruttive tra Marino, Gagliardi e Alterio.

Si torna in aula martedì 4 febbraio per conclusione dell'istruttoria, discussioni e, se ci sarà ancora tempo, sentenza. Alterio e Gagliardi non renderanno esame. Antonio Marino e Giuseppe Carboni (maresciallo dei Carabinieri accusato di rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento, difeso dal legale Michele Polleri) invece sì. Li ascolteremo volentieri.

Lucia Sorbino
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Paola Molino