Uccise il padre per difendere la madre: Alex condannato a 6 anni
La Prima sezione della Corte d’Assise d’appello di Torino (presidente Cristina Domaneschi) ha condannato Alex Cotoia a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni per l’omicidio del padre Giuseppe Pompa, avvenuto il 30 aprile 2020 nell'alloggio di famiglia di Collegno. Alex, al tempo Pompa ed oggi Cotoia come la mamma Maria, aveva appena 18 anni e mezzo, ma alle spalle tanti anni di soffocata sofferenza. Quella sera la disperazione e l'istinto di sopravvivenza ebbero il sopravvento sulla sua mitezza. E colpì il padre con 34 fendenti, sferrati con sei coltelli diversi.
In primo grado, 24 novembre 2021, era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”: in questo caso i giudici avevano infatti ritenuto che il giovane (classe 2001) avesse agito per difendere la madre da una sicura violenza. Poi arrivò l'appello del pm Alessandro Aghemo, che sostenne in primo e secondo grado che non si trattò di legittima difesa e ne ribadì la richiesta di condanna a 14 anni. Sulla stessa linea anche i giudici d'appello che in sostanza avevano sostenuto: «Alex è colpevole, ma la pena deve essere giusta e rieducativa». Per questo, ad inizio maggio, sollevarono (come per altro richiesto dallo stesso pm) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 577, sospendendo il giudizio sino alla pronuncia della Consulta.
A fine ottobre arrivò la decisione della Corte costituzionale che di fatto riscrisse il "Codice rosso" (vedi approfondimento sottostante) e consentì così ai giudici torinesi di applicare ad Alex un sostanziale sconto di pena, in grado di alleggerirne di molto la condanna. Ora la sentenza. Poco più di sei anni di reclusione.
In foto, Alex in udienza con il suo difensore, avv. Claudio Strata, in una delle udienze iniziali del processo d'Appello.
PER APPROFONDIRE
Articolo pubblicato sull'edizione cartacea de L'Eco del Chisone l'1-11-23
Per Alex, la Consulta riscrive il "Codice rosso"
"La Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 577 terzo comma del Codice penale nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostante attenuanti in cui agli articoli 62 primo comma (provocazione, ndr) e 62-bis (attenuanti generiche, ndr)": questa la sentenza pubblicata lunedì 30 sulla Gazzetta ufficiale. Parole all'apparenza attinte dal lessico di distaccati giuristi, ma di fatto capaci di riscrivere il corso di tante vite. Senz'altro quelle di Alex, del fratello Loris e della mamma Maria.
Da oggi infatti i giudici potranno applicare sconti di pena anche nei casi di omicidi in famiglia: eventualità che proprio quel comma, introdotto nel 2019, aveva invece escluso. La normativa (il cosiddetto "codice rosso") mirava a proteggere le vittime di femminicidio, ma aveva irradiato i suoi effetti in una pluralità di situazioni di fatto assai diverse e non equiparabili, su cui ora i giudici di merito tornano ad avere facoltà discrezionale. La Consulta, dichiarando l'illegittimità di quel comma, ha ridato loro la possibilità di diminuire le pene nel caso in cui ritengano di applicare all'imputato le attenuanti generiche o della provocazione. Anche quando si tratti di un figlio che ha ammazzato il padre, come nel caso di Alex che il 30 aprile 2020, nell'alloggio di famiglia di Collegno, uccise il padre Giuseppe Pompa per difendere la madre dalle sue continue violenze. Aveva appena 18 anni e mezzo, ma alle spalle tanti anni di soffocata sofferenza. Quella sera la disperazione e l'istinto di sopravvivenza ebbero il sopravvento sulla sua mitezza. E colpì il padre con 34 fendenti, sferrati con sei coltelli diversi.
In primo grado, 24 novembre 2021, Alex (non più Pompa ma Cotoia) era stato assolto "perché il fatto non costituisce reato". Poi ci fu l'appello del pubblico ministero Alessandro Aghemo: «Non fu legittima difesa» sostenne, e ne chiese la condanna a 14 anni. Sulla stessa linea anche i giudici della Prima sezione della Corte d'Assise d'Appello: Alex uccise il padre volontariamente, non per legittima difesa, ma merita le attenuanti soprattutto perché il suo gesto fu «il drammatico epilogo delle malate dinamiche familiari sofferte per anni».
Merita le attenuanti, ma il "codice rosso" non le consente. Per questo il giudici torinesi sollevarono, come per altro richiesto anche dalla procura, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 577 e il 4 maggio scorso sospesero il giudizio sino al pronunciamento della Consulta. Oggi che la decisione è arrivata, il processo di Torino può riprendere. Attendiamo la data della sentenza. La vita di Alex è, ancora una volta sospesa, ma per lui si profila una pena assai più lieve (presumibilmente dai 6 agli 8 anni).
Lucia Sorbino
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