Allevamento di pecore tartassato dai lupi a Salza: perdite dimezzate con il recinto mobile fornito dalla squadra di intervento e prevenzione
Giorgio Bergero, 49 anni, è pastore a Salza di Pinerolo da tutta la vita. Ogni estate sale con le sue 900 pecore all’Alpe Penna, nella parte alta del vallone. «La montagna l’ha comprata mio nonno nel 1943, poi c’è stato mio papà, e io sono titolare dal 2000». Il primo attacchi da parte dei lupi lo ricorda bene: era 1997, 8 pecore predate al Pian delle Manze. L'ultimo ieri: altre due pecore morte, grazie alla nebbia che ha favorito i lupi.
La sua parte di montagna è molto esposta, per la nebbia (frequentissima anche quando tutto attorno è sereno) che consente al lupo di eludere i cani, per i numerosi valloni dove non li si vede arrivare e per le ampie aree di cespugli difficili da difendere. Gli attacchi di lupi hanno provocato l'anno scorso la morte di 67 animali, 42 suoi più altre in affidamento da altri pastori, anche se aveva cani da protezione maremmani e recinti per la notte.
Il conteggio delle perdite per quest’anno si ferma però a circa 25-28, almeno fino a oggi. Il dato è più che dimezzato grazie al recinto elettrificato mobile forniti dalla sperimentazione del progetto Life WolfAlps attraverso la squadra WpiuTo3 (Wolf prevention intervention unit): 16 reti da 50 metri e la manodopera per aiutare Bergero a piazzarle e spostarle quattro volte in tutto. Le reti recintano un pascolo molto ampio, di circa tre ettari pensato appositamente per proteggere gli animali in caso di nebbia. Restano i rischi nei momenti di spostamento, e di notte il pastore continua a piazzare i suoi quattro recinti più piccoli. Non tutte le predazioni possono essere evitate. Ma l’espediente ha centrato l’obiettivo di azzerare gli attacchi con nebbia, che spesso sono stati i più gravi in quella zona. Un’unico episodio l’anno scorso ha prodotto da solo 40 vittime.
Oggi “L’Eco” è salito all'Alpe Penna con la squadra WpiuTo3 (formata da Guardiaparco dell’Ente Parchi Alpi Cozie e altro personale, in partnership con Città Metropolitana) per raccontarne il lavoro e - perché no - per dare una piccola mano nello spostare le reti per la quarta e ultima volta più a valle, dove il pastore ha chiesto di costruire in questo caso due recinti più piccoli.
Resteranno da fare tutte le valutazioni del caso. Sull’efficacia di questo intervento specifico non sembrano esserci dubbi. È il costo dell’operazione a non apparire sostenibile per un solo pastore, soprattutto in termini di forza lavoro.
«Spostare il recinto per 4 volte, - spiega il veterinario Umberto Vesco, a capo della squadra WpiuTo3 - ha richiesto un notevole impiego di manodopera, messa a disposizione soprattutto dagli enti che partecipano alla squadra WpiuTo3. La sfida è rendere l’azione, oltre che efficace, economicamente sostenibile anche in un contesto logisticamente difficile, senza strade carrozzabili. Un mezzo per aiutare a ridurre i costi potrebbe poi essere il coinvolgimento di volontari».
L'ARRIVO DEL LUPO E LE CONTROMISURE
Vesco ricapitola il contesto in cui si è arrivati a questa sperimentazione. «L’arrivo del lupo sul territorio ha costretto le aziende che praticano l’allevamento, in particolare quello estensivo di ovicaprini, ad adeguare i precedenti metodi di conduzione del bestiame - ripercorre il veterinario Roberto Vesco, a capo della squadra WpiuTo3. E’ diventato indispensabile integrare metodi di prevenzione quali la sorveglianza diurna del bestiame, il confinamento notturno e l’integrazione di cani da guardiania efficienti, in combinazioni diverse a seconda dell’orientamento produttivo dell’azienda e delle caratteristiche del territorio di pascolo. A fronte di maggiori costi, in parte sovvenzionati da strumenti come il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Piemonte, è possibile ridurre i danni da predazione a livelli generalmente tollerabili».
Lo stesso progetto Life ha contribuito distribuendo negli anni della prima fase alcuni cani agli allevatori e in questa fase numerose reti.
«Tuttavia in alcuni contesti particolarmente sfavorevoli, nonostante l’adozione dei metodi di difesa, continuano a ripetersi attacchi in modo cronico, determinando perdite economiche e forte senso di frustrazione negli allevatori» prosegue Vesco.
Ulteriori approfondimenti sull'Eco del Chisone in edicola mercoledì 21 settembre.
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Paola Molino