Bancarotta e false fatture: assolto a Roma l'imprenditore Ezio Bigotti
Assolto perché il fatto non sussiste: è finito così, quantomeno in primo grado, il processo a carico del noto imprenditore pinerolese Ezio Bigotti (in foto). Così ha deciso questa mattina la Quarta sezione del Tribunale di Roma (presidente Roberta Palmisano, a latere i giudici Salvatore Iulia e Ilaria Amarù). «Assolto con formula piena, ai sensi primo comma»: un risultato di cui il difensore, avv. Cesare Placanica, non può che andare fiero, anche perché proprio da quelle vicende si originarono di fatto tutti i più recenti e pesantissimi guai giudiziari dell'ex presidente del Gruppo Sti.
Il manager 57enne era chiamato a rispondere di bancarotta fraudolenta e documentale in relazione alla vendita (avvenuta nel 2008) della Ge.Fi alla francese Siram, e di false fatture per circa 60mila euro. Accuse che il 6 febbraio 2018 avevano fatto scattare la prima ordinanza di custodia cautelare, nel quadro di una maxi operazione coordinata dalla procure di Roma e Messina che portò a 15 arresti eccellenti (tra cui l'avv. Piero Amara). Per il boss del facility managment si tradusse in detenzione domiciliare, revocata il 3 dicembre dello stesso anno. Pochi mesi più tardi, per l'esattezza il 23 febbraio 2019, era arrivata però una seconda misura, questa volta firmata dai giudici di Messina, che contestavano a Bigotti la "corruzione in atti giudiziari". Il provvedimento fu revocato il 17 marzo scorso, ma per quel reato l'imprenditore, il 14 luglio 2019 fu condannato in primo grado a 7 anni e mezzo. Nel processo d'appello, previsto per l'autunno, Bigotti e il suo potente collegio difensivo cercheranno di ribaltare il primo verdetto, sfoderando quanto meno due assi: non solo una sentenza della Cassazione del giugno 2019, ma soprattutto una recentissima ordinanza del gip della Capitale Daniela Caramico D'Auria che il 15 aprile ha disposto l'archiviazione del procedimento che vedeva Bigotti indagato per corruzione in atti giudiziari nei confronti di un giudice del Consiglio di Stato. Dunque, a detta dei magistrati romani, il manager di S. Pietro Val Lemina non ha dato denaro per ottenere sentenze a lui favorevoli. Vedremo come la penseranno a Messina i giudici di secondo grado.
Di recente avevamo scritto che per il controverso uomo d'affari pinerolese era un buon momento e che dopo tre anni di "lockdown giudiziario" stava incassando importanti soddisfazioni. Quella arrivata oggi dal Tribunale capitolino ha sicuramente uno spessore speciale.
Vogliamo offrire un giornalismo che sia presidio di cittadinanza e di democrazia, forza trainante per il territorio, strumento per comprendere cosa succede nella nostra società e nel mondo.
Paola Molino