Security e (presunti) dossieraggi illegali: una maxi inchiesta pian piano smagrita
Processo agli "spioni": così è stato battezzato un procedimento sulle agenzie di security e presunti dossieraggi illegali ai danni di vari manager di importanti aziende (tra cui la Kerakoll spa di Sassuolo), attualmente in corso. Partì dieci anni fa e ci finirono pure due noti pinerolesi: l'esperto informatico Giuseppe Dezzani (posizione archiviata l'anno scorso) e l'ex maresciallo Riccardo Ravera (in una foto di repertorio). Classe '63, nome di battaglia "Arciere", fece parte della squadra del Crimor, il gruppo del Ros dei Carabinieri che nel gennaio '93, al comando del Capitano "Ultimo", catturò Totò Riina. Dal 2008 al 2011 guidò il Nucleo comando della Compagnia di Pinerolo. Congedatosi dall'Arma, ora è consulente di importanti società di investigazione privata.
Una mega inchiesta, racchiusa in 18mila pagine (18mila, avete letto bene) e coordinata dal sostituto procuratore torinese Gianfranco Colace, che strada facendo perse pezzi importanti. Ventotto gli iniziali indagati e 26 capi di imputazione. A giudizio finirono in 21 e per 17 di loro venerdì 28 febbraio si è conclusa l'udienza preliminare. In otto sono stati totalmente prosciolti, con sentenza di non luogo a procedere. Quanto agli altri nove la giudice Manuela Accurso Tagano ha disposto il rinvio a giudizio.
Un procedimento con dieci anni di storia: le tappe principali
Per comprendere indagine e storia, serve un bel salto indietro. Tutto inizia nel lontano 2015 con l'inchiesta (intricatissima e controversa) per la cosiddetta "Bigliettopoli”. Da quel procedimento madre, nell'ottobre 2020, si sviluppò un nuovo filone, relativo a presunte irregolarità nella gestione della sicurezza privata e grandi eventi. E in quel fascicolo finirono, come detto, pure i pinerolesi Dezzani e Ravera.
A dicembre del 2021, con un imponente operazione di polizia, scattarono perquisizioni e sequestri. In contemporanea partirono pure i ricorsi e per ben 16 volte Tribunale del Riesame e Cassazione annullarono i provvedimenti emessi dalla Procura.
Due anni più tardi (dicembre 2023) i pm Colace e Giovanni Caspani chiusero l'inchiesta: 28 gli indagati e 26 i capi d’imputazione a vario titolo contestati, tra cui associazione a delinquere, corruzione, fatture false, esercizio abusivo della professione di investigatore, interferenze illecite nella vita privata, accesso abusivo al sistema informatico. Poi alcune posizioni vennero archiviate (tra cui quella di Dezzani) e qualche contestazione cadde. Morale, nella richiesta di rinvio a giudizio firmata a giugno 2024 dai pm Colace, Caspani e Gabetta, gli indagati scesero a 21 e i capi di imputazione a 22.
L'udienza preliminare
Pochi mesi più tardi, per l’esattezza siamo al 31 ottobre, davanti alla giudice Manuela Accurso Tagano inizia l’udienza preliminare, articolata in vari momenti e conclusa (con non pochi colpi di scena) venerdì scorso, 28 febbraio. Ad ottobre arriva la prima decisione del gup: come chiesto dai difensori che avevano eccepito l’incompetenza territoriale, per due imputati il procedimento viene spostato a Modena, mentre transita a Roma quello per una presunta corruzione relativa all'appalto per la sicurezza presso le Officine Grandi riparazioni, ordita (a detta degli investigatori) dall'ex comandante del Nil di Torino Maurizio Trentadue in concorso con Riccardo Ravera.
Le accuse all'ex maresciallo Ravera
Per la Procura è proprio l'ex maresciallo pinerolese il personaggio chiave della ramificata struttura corruttiva oggetto del processo, come dimostrano i 14 capi d’imputazione a lui inizialmente contestati. Poi due (quelli in concorso con Dezzani) sono stati presto archiviati e uno è stato trasferito a Roma (anche se la giudice ha già scritto che il reato di corruzione non pare ipotizzabile). E gli altri undici? Anche qui le accuse hanno subito ridimensionamenti importanti. Intanto, nell’udienza di 23 gennaio scorso arriva un nuovo colpo di scena: la giudice Accurso Tagano (come chiesto dai difensori di Ravera, avv. Francesco Romito e Fabrizio Siggia) ha dichiarato inutilizzabile il contenuto dei cellulari e degli altri dispositivi informatici sequestrati tra 2021 e 2022 perché proveniente dai provvedimenti annullati da Riesame e Cassazione, dunque in violazione dell’art. 15 della Costituzione (così come richiamato dalla cosiddetta "Sentenza Renzi" pronunciata due anni fa dalla Corte costituzionale).
In sintesi, una mole di mail, messaggi e conversazioni intercettate (che per l’accusa erano la prova dei reati contestati) sono state escluse dal processo perché illegalmente acquisite. «Di questa grande inchiesta non resta più niente - sintetizza il legale romano Siggia -: i 10 proscioglimenti pronunciati dal Gup (8 totali e due parziali, ndr) sono la conferma della sostanziale inconsistenza dell’impianto accusatorio originario».
Quanto alle altre imputazione, per cinque Ravera è stato prosciolto (tra queste una pesante ipotesi di corruzione sulla security del Lingotto), per le restanti sei il gup ha invece disposto il rinvio a giudizio: prima udienza a Torino il 29 gennaio 2026. Con lui altri 5 imputati, mentre tre (tra cui Pinuccio Calvi, "Vichingo", anche lui del Crimor) dovranno affrontare il processo ad Alessandria (inizio il 14 maggio).
Per otto il gup ha emesso sentenza di non luogo a procedere. Tra questi Giovanni Carella, classe 1990, originario di Airasca, ma residente a Torino. Prosciolto nell'attuale maxi inchiesta, risulta indagato a Milano perché sospettato di essere l'autore di lettere diffamatorie verso alcuni magistrati torinesi (tra cui Colace). Ad assisterlo, gli avv. Mariangela Melliti e Mauro Anetrini.
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Paola Molino