Airaudo (Cgil) su crisi auto: «Stellantis? Per salvare l'indotto torinese bene anche i cinesi»
Mentre la Regione annuncia trattative con aziende di auto cinesi per individuare un sito produttivo in Piemonte e al tempo stesso Stellantis riduce la produzione ed esplode la cassa integrazione (+75% in un anno nella Città metropolitana) proponiamo un intervista apparsa sull'ultimo numero de L'Eco del Chisone, al segretario piemontese della Cigil, Giorgio Airaudo in cui si affrnotano questi temi spinosi.Lunedì sera intervistata nella comfort zonedi Rete Quattro, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha affermato con la solita verve che: «In Italia non si registravano così tanti occupati dai tempi di Garibaldi». Affermazione difficile da confutare poiché non risulta che all'epoca ci fossero Uffici di Collocamento in attività.
Cassa integrazione dati preoccupanti
Al contrario dei giorni nostri, in cui possiamo disporre dei dati dell'Osservatorio sugli ammortizzatori sociali dell'Inps che danno un quadro della situazione occupazionale decisamente diverso: le ore di Cassa integrazione autorizzate nello scorso mese di luglio ammontano a 36,6 milioni contro le 28,6 dello stesso periodo del 2023.
Il dato riferito al Piemonte poi è ancora più preoccupante: nei primi sei mesi del 2024 nella nostra Regione sono state chieste 22 milioni e 350mila ore di cassa integrazione, il 43,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2023, percentuale che s'impenna a un +75% per quanto riguarda la Città Metropolitana di Torino.
Dati che chiediamo di commentare a Giorgio Airaudo segretario generale della Cgil Piemonte, sindacalista di lungo corso che non ha bisogno di presentazioni.
Segretario, cosa ci dicono questi numeri dal punto di vista del sindacato?
«La crescita della Cassa integrazione è un dato oggettivo e molto preoccupante, che per quanto riguarda il Piemonte e in particolare la provincia di Torino segnala una grande sofferenza del comparto produttivo».
A cosa è dovuta questa impennata?
«Inutile ripeterlo: a soffrire pesantemente è il comparto manifatturiero ed in particolare quello della componentistica del settore automotive che, piaccia o non piaccia, rimane il perno dell'industria piemontese».
Così si finisce ancora una volta per parlare della situazione di Stellantis. «Stellantis è una parte del problema, la sofferenza delle aziende legate alla componentistica per auto è dovuta anche alla crisi in atto in Germania, e noi tutti sappiamo quanto in provincia di Torino le aziende lavorino per le grandi case automobilistiche tedesche. Detto questo le politiche di Stellantis pesano e non poco se pensiamo che l'azienda ha rinnovato la cassa integrazione a Mirafiori».
Siamo ancora un paese
produttore di auto?
Gli ultimi dati sulle vendite di auto fanno registrare un calo dopo l'impennata dei mesi scorsi grazie all'effetto incentivi. A pagare di più è proprio Stellantis, che segna un calo di oltre 13% rispetto al mese precedente.
«Non mi stupisce, Stellantis sposta la produzione in Serbia e in Polonia, mentre a Mirafiori si fa Cassa integrazione; soprattutto non investe in nuovi modelli, mentre la 500 elettrica perde colpi: se non si cambia rotta ricominciando a investire potremmo anche smetterla di pensarci come un Paese produttore di auto e guardare altrove».
Altrove? A chi si riferisce?
«Se c'è interesse di venire in Italia, magari chi sa come produrre auto elettriche a basso costo, va incentivato anche se si tratta di cinesi: se portano occupazione e consentono di mantenere in vita l'indotto, piuttosto di chi dimostra di non essere interessato a produrre in Italia».
"Salvare l'indotto
è la priorità"
Di aziende cinesi pronte a sbarcare in Italia se ne parla da molto, ci sono delle novità concrete?
«Attendiamo risposte chiare dal Governo su questi temi, per ora abbiamo sentito solo parole sia sul fronte Stellantis, sia sulla possibilità di insediamenti di altri produttori mondiali».
Favorire l'ingresso dell'industria cinese non rischia di indebolire il settore in Italia?
«Dipende molto da noi, i produttori extra europei potrebbero essere interessati a produrre in Europa spinti dai dazi, per ora molto risibili, imposti alle importazioni di auto extra UE, ma sono dinamiche che vanno gestite».
Mentre i salari rimangono sempre uguali, si continua a parlare dell'alto costo del lavoro in Italia.
«Questo è un alibi sostenuto da chi non vuole fare investimenti in Italia, noi ci battiamo invece per il giusto salario, contro la precarietà e i licenziamenti facili con la proposta dei quattro referendum che in questi mesi abbiamo chiesto di sottoscrivere e che hanno raccolto quattro milioni di adesioni».
Alberto Maranetto
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