Omicidio del Crò, la Corte d'Assise Appello conferma la pena: 30 anni a Barotto
Trent'anni di reclusione: a tanto in primo grado (28 settembre 2020) era stato condannato Stefano Barotto, classe '49. Il 18 ottobre 2019 aveva ammazzato a fucilate il suo vicino di casa Assuntino Mirai al Crò, nel Comune di Pinasca, sul confine con San Pietro Val Lemina. Poi era scappato, in una fuga da animale braccato durata meno di una notte. Poche ore e si era costituito ai carabinieri, confessando un delitto che aveva radici in inimicizie profonde e lontane nel tempo. Da allora è in carcere alle Vallette. Questa mattina si è celebrato il processo davanti alla Prima Corte d'Assise d'Appello (presidente il giudice Fabrizio Pasi), chiamata a pronunciarsi sui motivi d'appello proposti dall'avv. Sheila Foti, che ha assunto in secondo grado la difesa di Barotto (che ha assistito all'udienza in collegamento dal carcere). Il legale avrebbe voluto che i giudici escludessero l'aggravante della recidiva e potessero così concedergli le generiche o addirittura l'attenuante della "provocazione". Di fatto non è riuscita a raggiungere l'obiettivo, nonostante una ricostruzione dell'accaduto che rispetto al primo grado è riuscita a portare elementi di novità. Dopo quasi due ore di Camera di Consiglio, la Corte ha confermato la sentenza precedente: 30 anni. Così come chiesto con fermezza sia dal sostituto procuratore generale Marcello Tatangelo e dalla parte civile. Entrambi hanno ribadito che si è trattato di un omicidio «feroce, freddo, spietato: un'esecuzione in piena regola che non merita attenuanti. Prima ha colpito Mirai al femore e poi gli ha sparato mettendogli in bocca la canna del fucile». «Barotto - ha ribadito l'avv. Cristian Scaramozzino, che con la collega Cristina Lavezzari assiste moglie e figlie della vittima - non si è mai pentito, non ha mai mostrato rimorso». Tra 30 giorni avremo le motivazioni. «Vedremo se ci saranno elementi per presentare ricorso per cassazione», è quanto si limita a dichiarare l'avv. Foti.
«Non è cambiato nulla»: Barbara, figlia maggiore di Stefano Barotto, invece sperava che il padre potesse ottenere un alleggerimento di pena. Per lei e tutta la famiglia resta solo un piccolo sollievo: «Papà sta abbastanza bene: tutte le settimane noi andiamo a trovarlo, mentre i suoi amici del Crò gli scrivono e lui risponde via lettera. Sta facendo perfino lezioni di matematica e italiano e ora scrive molto meglio. L'abbiamo pure abbonato all'Eco del Chisone: lo riceve in carcere e lo legge sempre, vuole avere notizie del suo paese. Certo, per un uomo come lui, abituato a girare nei boschi, è dura, ma non si è abbattuto».
In foto la casa di Barotto, in borgata Forte, sulle alture tra Pinasca e S. Pietro Val Lemina.
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Paola Molino