Il senso della vita, tra pettegolezzo e solidarietà
Questo giornale non pubblica - per una precisa scelta editoriale - le notizie che riguardano i suicidi, a meno che non abbiano avuto un qualche risvolto pubblico. Se il fatto ad esempio ha costretto ad un’interruzione della linea ferroviaria, o si è compiuto di fronte ad una platea in un centro cittadino… Una scelta dettata dal rispetto per l’uomo o la donna che l’ha fatta finita in modo privato, in punta di piedi.
I suicidi colpiscono molto. Certamente, non scriverne non paga in edicola. È una questione deontologica in cui, come su una bilancia, pesano da un lato il diritto all’informazione e dall’altro la riservatezza e il sentimento di pietas. Inoltre si vuole evitare l’indubbio effetto di emulazione che certi episodi, raccontati nei particolari, hanno su lettori fragili psicologicamente.
Detto questo, resta il fatto che nelle ultime settimane sono accaduti alcuni casi nel Pinerolese e nel Bargese che hanno impressionato anche chi, per professione, è purtroppo abituato a questo genere di notizie.
Subito ci si chiede come è accaduto e perché. Mentre alla prima domanda si può dare una risposta, ben più difficile, quando non impossibile è darne una alla seconda. Non solo per il giornalista, ma per le persone che sono rimaste vive, i superstiti, quelli costretti a convivere con i sensi di colpa, e per tutti gli altri. La presenza di un biglietto non dà ragione comunque.
«Nessun evento anomalo aveva fatto presagire il gesto» è il commento di rito. Delusioni d’amore, incomunicabilità con le persone che aveva vicino, la paura di una malattia. Ipotesi che non troveranno più riscontri.
Depressione, malattia, debiti sono cause moralmente accettabili dall’opinione pubblica. Ma il gesto estremo e irreversibile di chi si credeva avere una vita quasi perfetta, in cui «non mancava nulla», invidiabile perché creduta felice, ci getta ancor più nello sconforto. La verità è che nessuno è in grado di capire un suicidio; forse non lo capisce neppure il suicida. Esistono cause "banali" per togliersi la vita?
Nei paesi queste notizie si sanno subito: non serve un giornale a diffonderle. Il dramma privato diventa, dopo i primi momenti di sgomento e costernazione, chiacchiericcio. Argomento da bar da sussurrare. Da esorcizzare: dando spiegazioni razionali, elucubrando sugli stati d’animo, mettendo insieme pezzi di una vita che si credeva di conoscere.
I giornali si affidano all’esercito degli esperti: psicologi, sociologi, antropologi che si affrettano a incasellare in una statistica, in una fenomenologia nota il nuovo caso. E per ognuno c’è già una risposta: «I giovani sono fragili»; «È la classica crisi di mezza età»; «Era un soggetto border line».
Torna in mente Cesare Pavese. Sulla prima pagina dei "Dialoghi di Leucò" che si trovava sul tavolino scrisse: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».
Ogni suicidio è un fallimento, una perdita che colpisce ognuno di noi. I pettegolezzi stanno a zero.
Vogliamo offrire un giornalismo che sia presidio di cittadinanza e di democrazia, forza trainante per il territorio, strumento per comprendere cosa succede nella nostra società e nel mondo.
Paola Molino