Partiti oggi: un guscio vuoto
I nodi vengono al pettine. La crisi dei partiti non poteva restare senza conseguenze a lungo. Chi in questi ultimi anni ha avuto occhi per vedere non può essere stupito per quanto sta accadendo a Roma tra Berlusconi e Fini. Non c'era bisogno di alzare lo sguardo, bastava osservare le cose di casa nostra. A Pinerolo, ma si può dire in tutta la provincia, il Pdl inteso come fusione tra due partiti - Forza Italia e An - non è mai nato, non solo come struttura, ma nemmeno come comune sentire tra le parti sulla concezione di un grande partito di massa dei moderati. Se la rottura tra i due leader si consumasse, qui in provincia non accadrebbe proprio nulla di traumatico perché non ci sarebbe nulla da spaccare, né da dividere. Si metterebbe semplicemente fine ad un'ipocrisia. Ma c'è di più. La mancanza di una forma di partito in questi anni ha ridotto il centrodestra pinerolese ad un insieme di singoli che a seconda delle situazioni si aggrega con questo o quell'altro leader torinese. L'esito delle ultime elezioni regionali è un esempio lampante di ciò.
Sull'altro fronte le cose non stanno molto diversamente. Il Pd c'è e ha una struttura, questo è innegabile, ma è poco più di una scatola vuota dove riunirsi per discutere strategie che nessuno seguirà. Basta vedere cosa sta accadendo in questi giorni. Il parlamentare di riferimento del Pd locale, Giorgio Merlo, convoca gli Stati generali del Pinerolese. Lo fa senza consultare nessuno, men che meno Paolo Covato che, piaccia o non piaccia, è il sindaco della città capofila del territorio. Lo fa con Piergiorgio Bertone, rappresentante di un movimento che a Pinerolo con i suoi consiglieri comunali non ha dato certo prova di avere una visione alta della politica.
Questo per dire che il personale politico pinerolese di entrambi gli schieramenti sembra non voler capire il messaggio uscito dalle urne delle ultime elezioni regionali. Che nessuno in questo momento, nemmeno tra coloro che detengono cariche elettive, si può ritenere interprete riconosciuto della volontà e del comune sentire del territorio, da cui invece emerge chiara la richiesta di un rinnovamento nelle persone e del modo di fare politica.
Gli Stati generali possono essere l'occasione per raccogliere questo messaggio, proprio perché hanno come fondamento l'idea di mettere attorno a un tavolo tutte le forze che operano in un territorio per disegnare nuove strategie di sviluppo. Prima di convocare Commissioni e affidare incarichi (come si sta facendo), bisognerebbe avere l'umiltà di ascoltare il mondo fuori, di cercare nuovi referenti, di organizzare (nel vero senso della parola) un consenso generale, in primo luogo delle forze sociali ed economiche, su un progetto così importante. Altrimenti ci ritroveremo con l'ennesimo guscio vuoto, come i partiti appunto.
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Paola Molino