Quando il posto di lavoro è in vendita

Chiamiamola buonuscita o incentivo alle dimissioni ma la sostanza non cambia. Di fronte alla crisi alcune aziende hanno scelto infatti una strada da sempre percorribile: offrire soldi in cambio della rinuncia al posto di lavoro. Spesso si tratta di scelte obbligate, con i sindacati talora divisi sulla trattativa. È un dramma ineluttabile anche se in alcuni casi può trattarsi di un'opportunità. Non è un fenomeno di oggi ma oggi più frequente, vista la crisi di molte aziende.

Ci diceva un sindacalista pinerolese, dalla lunga esperienza, che in altri momenti al "posto di lavoro in vendita" hanno spesso aderito dipendenti di aziende che già svolgevano un secondo lavoro, ovviamente part-time. I 15 o 30mila euro di incentivo alle dimissioni potevano costituire un altro incentivo a fare impresa, creare un piccolo magazzino per chi svolgeva attività artigianali. Fino a due anni fa c'era poi un discreto margine di trattativa nei confronti del datore di lavoro e c'è chi come ex-sindacalista, è riuscito a spuntare a metà degli Anni '90 poco meno di un centinaio di milioni di "extra".

Oggi la situazione è profondamente cambiata. Ci saranno pure incentivi per i giovani a fare impresa, ma occorre anche avere un mercato che assorba la produzione. Altrimenti si corre lo stesso rischio delle medie e grandi aziende: producono ma il prodotto poi resta parzialmente invenduto.

Il vero dramma oggi è un altro: quando un'azienda ti mette ai margini del mondo del lavoro, non ti offre incentivi ad andartene garantendoti almeno un futuro a corto-medio termine e la cassa integrazione (ma non tutti possono usufruirne) compensa solo in parte il vecchio salario. E quando, pur cercandolo affannosamente, non si trova un lavoro per tornare a sperare nel futuro.

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Paola Molino