David Canal è nato nel New Jersey ma nonni e genitori erano di Perrero. Parla inglese, con uno spiccato accento americano. E poi patuà della Val Germanasca. Italiano solo per sbaglio, qualche parola pescata dal fondo della memoria. Francese un po' di più, perché quella era la lingua "dotta" e i valdesi la parlavano tutti. Il filo dei ricordi però non ha bisogno di parole, lo si legge negli occhi che tornano indietro di 60 anni e più. Occhi commossi, a guardare e mostrare fotografie seppiate che raccontano un passato lontano eppure vicinissimo. Lo si legge negli attrezzi da lavoro vecchi di decenni e conservati come reliquie. I bastoni per battere le spighe appena raccolte, le gerle per portare il fieno, gli strumenti per lavorare il legno.
David Canal ha 67 anni, è nato nel New Jersey e per 30 anni ha lavorato al Medical Centre di Indianapolis, dove vive con la famiglia. Ha studiato all'Indiana University: chirurgia dell'addome, e questo ha insegnato, sempre in quella Università, per tanti anni. Dall'agosto 2020 è in pensione, ma i suoi studenti non li ha dimenticati: «Faccio ancora qualche lezione, but just for fun», ride. Così, solo per divertimento. Si vede che ha amato il suo lavoro. Ne parla con passione, come se ancora fosse alle prese con bisturi e telecamere laparoscopiche, fegati e intestini.
Lo incontriamo a Perrero. Anzi no, in borgata Salengo dove la strada che sale a San Martino e poi a Giordanengo finisce. A due passi da quella che fu la terra natale di Lidia Poët, prima avvocatessa d'Italia, sepolta proprio nel piccolo cimitero della frazione, ripido che pare doversi impegnare per non scivolare a valle.
I nonni Oscar e Clementina e la "Meizoun Canal"
«Questo tratto di strada l'hanno costruito nel 1965: me lo ricordo bene». David è seduto al fresco della "Meizoun Canal", ristrutturata con cura qualche anno fa. Una casa in pietra, semplice e grondante memoria. Senza fretta, con garbo e pazienza, ci racconta la sua storia. Parte da lontano, dal nonno Oscar Canal e dalla nonna Clementina Genre, classe (rispettivamente) 1885 e 1895. Se David, la moglie Terry Gault e pure i loro quattro figli (Jenna, Ben, Chad e Todd), conoscono bene la Val Germanasca e la forza delle radici, è grazie a quei solidi antenati.
«Nei primi anni Sessanta venivamo a trascorrere qui tre mesi d'estate. Stavamo dai nonni, in questa casa». E con loro David e le sorelle Corral e Lynn hanno trascorso giorni di pura felicità. Piccoli americani, che con la mamma Ada salpavano dal porto di New York su navi dai nomi epici come Queen Mary e Queen Elisabeth. Cinque giorni di navigazione atlantica per sbarcare a Southampton. Da lì il traghetto per il nord della Francia e treno fino a Torino. E ancora, via verso le montagne con la corriera. Ad attenderli c'erano Oscar e Clementina, con i loro racconti e le loro canzoni («sempre in francese»), le mucche e le capre da portare al pascolo, conigli, cani e gatti di cui prendersi cura, il fieno da raccogliere, il burro da fare («sempre il sabato mattina»), il culto domenicale al tempio valdese di Perrero. «Bellissimo»: David usa solo quella parola. E la dice in italiano, con gli occhi che brillano. «Bellissimo».
I genitori Felix e Ada: doppio incontro "fatale"
Tra David, le sue sorelle, e gli amati nonni, ci stanno, ovviamente, i genitori. Quelli che hanno creato il ponte, ancora intatto, tra le nostre Alpi e gli States. «Mio padre si chiamava Felix: nacque nel 1920 a Giordanengo». Voleva diventare pastore valdese, ma non finì gli studi. Nel 1947 partì per l'America e frequentò per un anno il Goshen College dell'Indiana, di forte impronta mennonita (la più numerosa delle chiese anabattiste).
È in quell'anno che Felix, durante una funzione nella chiesa valdese di New York City, ha la fortuna di imbattersi in una giovane donna bellissima. Il suo nome è Ada Ghigo. Hanno le stesse radici, ma lei, figlia di immigrati, è già nata nella Grande mela. Ha appena 20 anni ed è una di quelle ragazze che non puoi dimenticare. Quel giorno Felix comprende cosa significa "nomen omen": il nome è un presagio, un destino.
L'articolo completo è sull'Eco del 2 agosto
di Lucia Sorbino