Non fu leggittima difesa: il punto chiave della requisitoria del pubblico ministero Alessandro Aghemo è proprio quello. «Alex ha agito in anticipo, nei confronti di una persona disarmata. Lo ha colpito per primo, in primo luogo alla schiena. "Legittima difesa" significa reagire ad un'aggressione: qui - ha puntaulizzato il pm - abbiamo una situazione inversa». A dimostrarlo, per la Procura, quelle 34 coltellate inferte con sei diversi coltelli. Così morì Giuseppe Pompa la sera del 30 aprile 2020, ucciso nell'alloggio di famiglia, a Collegno, da un figlio che non aveva neppure 19 anni.
Uno che per anni, come il fratello Loris e la mamma Maria Cotoia (di cui oggi entrambi hanno scelto di portare il cognome), ha vissuto ingabbiato nelle ossessioni di un uomo, padre e marito, instabile, paranoico, morbosamente geloso. Insieme, loro tre, sopportavano insulti irripetibili, minacce di morte custodite da audio terribili, che nel processo di primo grado hanno scosso l'aula: «Vi ammazzo, vi faccio a pezzetti, vi trovano in un fosso». Quella sera l'escalation di violenza pareva ormai all'apice. E l'istinto di sopravvivenza, per Alex, è stato più forte di tutto. Più forte della paura e della sua mitezza. Più forte di ogni conseguenza.
La procura invece fa un altro racconto: «La situazione oggettiva» non era tale da «giustificare quell’atto di aggressione». Alex ha ucciso «volontariamente il padre, con una reazione assolutamente spropositata rispetto alla situazione», causata ad una «non corretta rappresentazione dell'accaduto». Ha interpretato come «pericolo concreto» quella che, dice il pm, era solo «una minaccia». Aghemo l'aveva sostenuto in primo grado, argomentato nel suo duro atto d'appello e ribadito oggi, nella requisitoria davanti ai giudici di secondo grado. E ancora una volta ha chiesto che Alex venga condannato, a 14 anni anni di reclusione. «Qui siamo di fronte ad un figlio che ha ucciso il padre, e non per legittima difesa», come invece avevano stabilito i giudici di Corte d'Assise che il 24 novembre 2021 avevano assolto Alex "perché il fatto non costituisce reato".
Due ore di requisitoria, poi è toccato all'avv. Federico Squartecchia, parte civile per Michele Pompa, fratello di Giuseppe. Quello a cui i due ragazzi, la sera del 30 aprile, avevano chiesto aiuto ma che non era intervenuto, certo che Alex e Loris stessero enfatizzando il pericolo e che Giuseppe non sarebbe mai passato dalle minacce ai fatti. Il legale si è allienato lle richieste della Procura, ribadendo anche lui che da parte di Alex non ci fu legittima difesa, ma deliberata aggressione.
Si torna in aula il 12 aprile per l'arringa difensiva dell'avvocato Claudio Strata.
In foto, la posizione di Loris Cotoia, fratello di Alex, durante l'udienza del 22 febbraio quando fu sentito come testimone.
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Qui di seguito l'articolo pubblicato sull'edizione cartacea de L'Eco del Chisone il 1 marzo 2023
Appello Uccise il padre, ma per il pm non fu legittima difesa: Alex torna in aula
■ Di solito funziona che conosciamo il 'dopo', ma non il 'prima'. Non sappiamo quasi mai cosa sta a monte di un delitto odioso come quello in cui la vittima è una donna. Gli abbiamo pure dato un nome: femminicidio. Di solito ci scandalizziamo, contro 'chi sapeva e non ha fatto nulla', chi ha sottovalutato il rischio, per ignavia o indifferenza. Qui ascoltiamo un'altra storia. Quella delle sofferenze patite da una famiglia ingabbiata nelle ossessioni di un uomo instabile e paranoico. La storia dei fratelli Alex e Loris, e dei loro genitori, Maria Cotoia e Giuseppe Pompa.
Mercoledì 22 febbraio è tornata in aula, davanti ai giudici della Prima Corte d'Assise d'Appello. Sul banco degli imputati, il giovane Alex, 22 anni a settembre. Il 30 aprile del 2020, nell'alloggio di famiglia di via De Amicis a Collegno, uccise a coltellate il padre Giuseppe per difendere la madre da quel marito aggressivo, geloso a livelli patologici.
Alex, come il fratello Loris, oggi ha cambiato cognome prendendo quello della madre: Cotoia. Frequenta, con ottimi voti, l'ultimo anno della Triennale in Scienze della Comunicazione e sta studiando in Spagna con Erasmus.
«Un bravo ragazzo, studioso»: non solo l'avevano confermato i suoi insegnanti dell'Alberghiero di Pinerolo, ma perfino il pubblico ministero Alessandro Aghemo che, pure, aveva chiesto una condanna a 14 anni. Il 24 novembre 2021, i giudici di primo grado avevano però deciso altrimenti: assolto 'perché il fatto non costituisce reato'. Fu legittima difesa.
LA PROCURA: NON C'ERA PERICOLO REALE
Una decisione contro cui il pm aveva proposto un duro appello, convinto strenuamente che Alex abbia ucciso volontariamente il padre, con 'una reazione assolutamente spropositata rispetto alla situazione' , causata ad una 'non corretta rappresentazione dell'accaduto' dovuta al senso di angoscia che attanagliava Alex provocandogli 'un vizio parziale di mente'. Il pericolo che il padre passasse all'azione 'non esisteva': Aghemo ne è certo. A dimostrarlo sarebbero quelle 34 coltellate inferte, in buona parte alla schiena, con sei diversi coltelli. Dunque, per il pm non fu ci fu alcun comportamento difensivo che giustificasse l'aggressione.
E non importa se mercoledì in aula, ancora una volta, è uscito il racconto sconvolgente degli anni terribili sofferti da quei due ragazzi giovanissimi, che la vita aveva costretto a trasformarsi in guardie del corpo della mamma. Erano i suoi protettori. Per lei avevano rinunciato alla loro vita di adolescenti. Non la lasciavano mai sola. Insieme sopportavano insulti irripetibili, minacce di morte custodite da audio terribili, che nel processo di primo grado hanno scosso l'aula: «Vi ammazzo, vi faccio a pezzetti, vi trovano in un fosso» . Avevano messo a punto persino una routine serale per fare in modo che lui sbollisse la sua rabbia immotivata, che l'alcol non faceva che esacerbare.
«Mamma era la sua ossessione: doveva togliersi dalla sua vista, come si fa con il drappo rosso che manda in escandescenze il toro ».
IL FRATELLO LORIS: UNA VITA D'INFERNO
Loris l'ha ribadito con fermezza: «Abbiamo sempre vissuto in un inferno» . Ma giovedì 30 aprile 2020, complice mesi di Covid e convivenza forzata, l'escalation era alle stelle. «Era indemoniato, incontrollabile, gli occhi fuori dalle orbite, giocherellava con un coltello, insultava mia madre: quel giorno l'aveva chiamata al cellulare 101 volte» .Ebeveva. «Mio padre faceva paura già normalmente, ma quella sera era peggio » . Alex lo vede entrare in cucina e avvicinarsi al cassetto dei coltelli: lo precede e l'istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Afferra i coltelli che trova e colpisce quel padre da cui cercava affetto e ha trovato solo botte. Lo colpisce al collo e alla schiena, ma la coltellata letale è allo sterno: lacera il pericardio, trancia l'aorta. Giuseppe Pompa muore in brevissimo tempo.
Mercoledì scorso emozione e strazio erano palpabili. Lo si leggeva sui volti lividi di Loris, di Maria, nel silenzio compunto di Alex. Lo si leggeva nelle parole di rimpianto per chi sapeva e non ha fatto nulla. Su tutti lo zio Michele Pompa.
«Cosa aspetti ad intervenire? - gli aveva scritto Loris con un messaggio delle 22,26 – stiamo rischiando la vita ogni giorno». Michele, l’unico a cui Giuseppe dava ascolto, in un minuto avrebbe potuto raggiungere via De Amicis. «Poteva evitare tutto questo e non l'ha fatto, lasciando che questa casa fosse la nostra tomba» . Oggi si è pure costituto parte civile. Non interviene, forse pensando che quei due giovani nipoti stessero esagerando, enfatizzando il pericolo.
Loris racconta altro: «Alex ha salvato la vita a me, a se stesso e a nostra madre. Perché non ho chiamato i Carabinieri? Giuseppe (così lo chiama, mai 'papà', ndr) ha sempre detto che non sarebbero arrivati in tempo: ci ammazzava prima» .
LUCIA SORBINO