Ucraina: verso la guerra e ritorno - Giorno 4

Ucraina: verso la guerra e ritorno - Giorno 4
Domenica 6 Marzo 2022 - 11:31

Trascorro la notte nel convento salesiano di Przemysl insieme a decine di ucraini arrivati il giorno prima dall'hotspot allestito al supermercato. In quattro sono partiti nel cuore della notte, insieme ad Antonio, in direzione Genova. Nataliia, l'insegnante di Kharkiv, aspetta un passaggio per Berlino. Un'intera famiglia ieri ha trovato casa grazie a un uomo di Varsavia. Ma la storia più incredibile è quella di un uomo, il titolare di una piccola impresa di costruzioni, che si era offerto di accompagnare qualcuno dall'hotspot al convento, niente di più. Ha caricato un ragazzo che sembra giovanissimo, probabilmente non è maggiorenne, e lungo il tragitto gli ha offerto un lavoro e un posto in cui stare.

È il quarto giorno di viaggio e finalmente riesco a raggiungere Mykhailo, la persona che porterà i miei medicinali a Kiev. Ha guidato da solo per due giorni interi. «In certe zone del paese - racconta - ci sono checkpoint dell'esercito ucraino ogni poche centinaia di metri». Vogliono assicurarsi che non ci siano "agenti russi" che si muovono liberamente nel paese. Il governo ucraino è convinto che ce ne siano molti in tutte le città, e che si siano attivati mesi prima che iniziasse la guerra. In ogni parte del paese la popolazione racconta di grossi segni che compaiono sui tetti o sulle pareti di edifici "sensibili". È successo anche nella città di Ivanka, Chervonograd, una cittadina di 80mila abitanti a 500 km da Kiev e 15 dal confine polacco, dove probabilmente la guerra non arriverà mai. Eppure è successo anche lì. Anche lì le sirene suonano quattro o cinque volte ogni notte e la gente corre nei rifugi, ci rimane un'ora e poi torna nella propria casa.

Il valico di frontiera più vicino a Przemysl è Medyka, uno dei più grandi tra Polonia e Ucraina. Decido di dirigermi a Hermanowice, un passaggio molto piccolo senza neanche una vera dogana, perché non voglio incontrare una folla di giornalisti. Vista la situazione di emergenza il valico è stato chiuso: la strada è interrotta da blocchi di cemento e c'è un furgone della polizia a presidiarlo. Decido di andare più a nord, a Budomierz. Scelgo la strada che per cinquanta chilometri procede parallela al confine, attraverso boschi fittissimi e villaggi di contadini. È una via secondaria, stretta e piena di buche, eppure oggi è frequentata da molte auto, quasi tutte con targa ucraina, che sfrecciano a grandissima velocità nella mia stessa direzione. In direzione opposta incontriamo diversi autobus. Alcuni sono i bus regionali che fino a un mese fa collegavano le città della regione di L'viv.

Capisci di essere arrivato alla frontiera anche se la dogana è talmente lontana da non vederla ancora. Lo capisci perché inizia una lunghissima fila di auto parcheggiate sul ciglio della strada. La gente è in attesa da ore, alcuni hanno dormito lì dentro in attesa che i propri cari attraversino. Gli ucraini arrivano a piedi a gruppetti tirandosi dietro trolley e borse. Qualcuno gli va incontro correndo, si abbracciano. Hanno gli occhi gonfi ma trattengono le lacrime, qualcuno però non ce la fa e scoppia a piangere silenziosamente, in una smorfia di dolore.

Appena oltre la frontiera c'è il mondo della solidarietà. Volontari da tutta la Polonia sono accorsi ad allestire gazebo e bancarelle per offrire bevande calde, cibo, medicinali di prima assistenza, prodotti per l'igiene. Ci sono anche giocattoli per bambini. Ci sono sorrisi fragorosi e abbracci, e hanno la stessa importanza del cibo e dell'acqua. Ogni ucraino che nei giorni scorsi ha affrontato questo viaggio a piedi ripete la stessa frase. «I polacchi sono persone eccezionali». Un abbraccio a 500 km da casa, dopo aver valicato il limite tra il proprio paese e l'ignoto, è molto di più di quanto si aspettavano. Li fa sentire accolti. Non sono parole retoriche, quando incontrerete un profugo nei prossimi mesi chiedeteglielo.

Tra i volontari incontro Andrew, un uomo di Brno con la testa rasata, la barba folta e denti gialli. Sembra uno skinhead, lo sa e ci scherza. È il tipo di persona che non vorresti incontrare di notte mentre cammini in città. È proprietario di un club a Brno, in Repubblica Ceca. Appena l'Ucraina è stata invasa ha chiuso il locale, si è preso una settimana di ferie ed è corso alla frontiera. Offre caramelle e dolciumi ai bambini che passano di lì. Loro lo guardano diffidenti, poi allungano la mano ed esplodono in un sorriso.

 

 

Riparto per il valico di Lubaczow, più a nord. Di solito lo si può attraversare soltanto in automobile, ma è stato aperto anche ai pedoni. Lì mi aspetta Ivanka. Il giorno prima si è decisa a lasciare la sua casa. Ha riempito un trolley delle dimensioni di un bagaglio a mano, uno zainetto da mettersi sulle spalle, e una borsa di plastica. «Ho aperto l'armadio e mi sono chiesta cosa dovevo prendermi. Dovrei prendere tutto, è tutta la mia vita».[continua]

 

 

Mattia Bianco è un giornalista de L'Eco del Chisone, scrive di Economia, Spettacoli e Cronaca. Appassionato di montagna, è accompagnatore naturalistico, collabora con riviste specializzate ed è autore di due guide di trekking. Ha 34 anni, vive in un piccolo paese della Valle Po ed è sposato con Halyna, originaria di Chervonograd vicino a Leopoli. Si è messo in viaggio mercoledì mattina per portare in Italia un'amica di famiglia con i due bambini. L'idea di riempire l'auto di medicinali da far arrivare ai soldati e ai civili che stanno resistendo nelle città sotto attacco, e coperte e abiti caldi per i bambini e le donne che affollano i centri profughi polacchi, si è trasformata in un'ondata di solidarietà.

 

 

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Paola Molino