Ucraina: verso la guerra e ritorno - Giorno 3
Gli abiti caldi e le coperte partiti dall’Italia trovano casa nel convento delle suore salesiane di Przemysl. Da qualche giorno al centro è arrivata suor Anna (la prima a sinistra nella foto qui sotto), una donna iperattiva e sempre sorridente che viveva in Crimea quando è stata annessa nel 2014, e viveva a Kiev quando è stata bombardata una settimana fa. Per fortuna si trovava a Odessa, in visita a sua madre. Dice di aver sentito l’istinto fortissimo di abbandonare la città, come una voce che la spingeva. Così ha messo sua madre in auto e ha guidato per 18 ore, attraverso Leopoli fino alla Polonia.
Il convento riceve aiuti umanitari da molti donatori. Ma il lavoro che svolge incessantemente è aiutare gli ucraini appena arrivati in Polonia a raggiungere la loro destinazione, e nel frattempo ospitarli, sfamarli, farli sentire in famiglia.
Il posto lasciato vuoto nel mio furgone viene riempito immediatamente dai medicinali che sono arrivati in convento. Poi andiamo al centro di prima accoglienza, dove Antonio, originario di Revello (a sinistra nella foto) offrirà i suoi sei posti liberi fino all’Italia, passando per Repubblica Ceca e Austria.
Il centro di prima accoglienza di Przemysl si trova in un vecchio ipermercato dismesso da poco. Le luci sono così forti che è impossibile capire se sia giorno o notte. Dentro non ci sono più scaffali, banconi, commesse. Oltre le vetrine ci sono le brande e davanti alle brande valigie, zaini, trolley o semplicemente borse strapiene di ogni cosa. La maggior parte delle persone ha lasciato la propria casa all’improvviso, quando si è convinta che era troppo pericoloso rimanere. Nataliia, una docente universitaria di Kharkiv, ha riempito le sue borse in meno di cinque minuti mentre fuori i bombardamenti continuavano.
Era nei tunnel della metropolitana da tre giorni quando le bombe hanno colpito il palazzo della municipalità, proprio sopra di loro, facendo tremare il soffitto anche a decine di metri di profondità. La sua casa si trova a cinquanta metri da quell’edificio. Allora ha capito che era arrivato il momento: è corsa in casa con sua figlia e suo marito, ha riempito un paio di borse, e poi sono scappati in auto alla stazione dei treni. L’hanno abbandonata lì. Adesso lei si trova in Polonia con la figlia mentre suo marito è a Uzhgorod, sui monti Carpazi. Non sono sicuri che quando torneranno avranno ancora una casa. «Cosa vuole ottenere Putin? Vuole l'Ucraina? Cosa se ne farà se prima la distrugge?». Con la sua bambina andrà a Berlino, da amici, e spera di trovare un lavoro come quello che aveva in università. «Ma in queste circostanze va bene tutto. La priorità ce l'hanno i nostri ragazzi».
La porta automatica dell’ex supermercato non ha mai il tempo di chiudersi perché c’è sempre qualcuno che va e viene. Le persone entrano con le lacrime agli occhi. A pochi passi dall’ingresso c’è un tavolo con tre volontari che fanno il possibile per far combaciare domanda e offerta di trasporto. Chi fugge dice dove vorrebbe andare, chi offre un passaggio dà la sua disponibilità e lascia un numero di telefono; quando c’è coincidenza i volontari lo richiamano e lo avvertono.
Quasi tutti hanno un parente o un amico da qualche parte in Europa. Qualcuno invece semplicemente non ha un posto al mondo in cui andare. A un paio di metri dal tavolo dei volontari c’era la metà di una famiglia. Tre donne, una ragazza, due bambini e un carlino nero con un vestito da Superman. Nessun uomo. Chi ha tra 18 e 60 anni non può lasciare il paese e molti tra i più anziani hanno deciso di rimanere comunque. Quella mezza famiglia aveva intenzione di andare a Varsavia il più in fretta possibile, e così non è entrata nei “negozi”, ma si è scelta un angolino in cui appoggiare temporaneamente tutti i propri bagagli. In mezzo ai bagagli c’era una giovane donna con una pelliccia nera, una lunga gonna e stivaletti di pelo. Era seduta con le gambe accavallate, le mani in grembo e lo sguardo perso nel vuoto di chi sta facendo lo sforzo mentale per capire qualcosa di oscuro. Per tutto il tempo in cui sono rimasto nel centro di accoglienza lei non ha mosso un muscolo e non ha cambiato espressione.
Le persone che sono fuggite dall’Ucraina arrivano al centro grazie ai pullman organizzati dalle amministrazioni locali. Il piazzale davanti al capannone è intasato dalle automobili e dai furgoni di chi è arrivato da tutta Europa per offrire un passaggio nel proprio paese a chi lo vuole. Irlanda, Gran Bretagna, Germania, Italia. Un uomo distinto, con il soprabito, la sciarpa rossa e la pettinatura perfetta, aveva un cartello con su scritto "Denmark" e uno sguardo sconsolato. Continuava a muoversi da un luogo all’altro, fermandosi un po’ in ogni angolo del piazzale e del supermercato.
Ogni dieci o venti minuti arriva un nuovo pullman dalla frontiera, dal quale scendono cinquanta persone disperate. Molte di loro rimarranno lì dentro, nelle brande sistemate dietro le vetrine, per giorni.[continua]
Mattia Bianco è un giornalista de L'Eco del Chisone, scrive di Economia, Spettacoli e Cronaca. Appassionato di montagna, è accompagnatore naturalistico, collabora con riviste specializzate ed è autore di due guide di trekking. Ha 34 anni, vive in un piccolo paese della Valle Po ed è sposato con Halyna, originaria di Chervonograd vicino a Leopoli. Si è messo in viaggio mercoledì mattina per portare in Italia un'amica di famiglia con i due bambini. L'idea di riempire l'auto di medicinali da far arrivare ai soldati e ai civili che stanno resistendo nelle città sotto attacco, e coperte e abiti caldi per i bambini e le donne che affollano i centri profughi polacchi, si è trasformata in un'ondata di solidarietà.
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Paola Molino