Sabato 18 Maggio 2024Ultimo aggiornamento 11:50Abbonamenti

Smarrito il senso del bene comune

Dalla residenza romana di Berlusconi, il vertice del Popolo della libertà ha lanciato un ultimatum a Fini, approvando un documento che può essere considerato il manifesto del centrodestra per la ormai prossima competizione elettorale. Al presidente della Camera la scelta tra un voto di fiducia parlamentare, che comporterebbe la resa al "diktat" del Cavaliere ("prendere o lasciare"), e la responsabilità di avere provocato, con lo "strappo" di fine luglio, elezioni anticipate che potrebbero comportare la cancellazione dei finiani dalla vita politica. L’ultimatum di Berlusconi è rivolto anche ad una opposizione parlamentare che vorrebbe andare alle elezioni dopo aver dato vita ad un Governo di salute pubblica cui affidare il compito di riformare il "porcellum". Se si vota con il "porcellum", la coalizione Berlusconi/Bossi parte avvantaggiata, poiché il Pd non si può presentare agli elettori alla guida di una compagine che dovrebbe estendersi dalla sinistra radicale di Vendola alla destra nazionale di Fini, passando per il centro di Casini e Rutelli. Ne è consapevole Dario Franceschini, il quale – per vincere - propone una Alleanza costituzionale dai confini ancora incerti.
I sondaggi registrano una flessione dei consensi per Berlusconi, ma in questa fase la forza del Cavaliere risiede nella debolezza dei suoi avversari: nella incerta identità del Pd, nella evidente eterogeneità della alleanza che si dovrebbe formare per conquistare la maggioranza con le assurde regole del "porcellum". Ha ragione Pier Luigi Bersani, segretario del Pd: la profonda crisi svelata dallo scontro tra Berlusconi e Fini dimostra il fallimento del berlusconismo. Bersani ha ragione anche quando ricorda che comunque spetterà al Presidente della Repubblica gestire la crisi di governo e – se necessario – sciogliere il Parlamento ed indire elezioni anticipate.
Tuttavia Berlusconi e Bossi hanno ancora il coltello dalla parte del manico, e cercheranno spregiudicatamente di arrivare ad elezioni con la legge elettorale del 1996, legge varata con l’obiettivo di rafforzare la coalizione di destra e di dividere quella di sinistra. Senza alcuna preoccupazione per il fatto che il "porcellum" toglieva agli elettori la possibilità di scegliere chi li rappresenta in Parlamento. La polemica sulle elezioni anticipate è stata affrontata con qualche incertezza da Berlusconi, ma con molta determinazione da Bossi, il quale chiede di votare entro l’anno. La ragione di queste differenze è evidente: il voto potrebbe registrare il declino del Popolo della libertà, mentre potrebbero crescere i consensi della Lega, anche a danno di Berlusconi.
Se dalla cronaca passiamo ad una riflessione più generale, notiamo che mentre lo scontro tra Berlusconi e Fini segna il naufragio della personalizzazione della politica - ed ormai ne è consapevole anche Cl, il movimento cattolico più carismatico -, il Paese appare prigioniero di una contraddizione. Infatti con il declino del berlusconismo sta declinando il sistema bipolare cui anche la sinistra aveva affidato l’avvenire della democrazia dell’alternanza e della stabilità del Governo; mentre appare evidente che non decolla l’ipotesi del "grande centro" cui Casini e Rutelli hanno affidato le loro fortune personali ed il futuro della democrazia rappresentativa.
L’Italia sta attraversando una crisi culturale ed etica, una crisi di valori. Questa crisi riguarda in particolare una classe dirigente che, come ha notato con grande preoccupazione la Conferenza episcopale, ha smarrito il senso del bene comune. La società italiana appare sempre più divisa, socialmente e politicamente, mentre la gravità della situazione economica richiede una grande coesione.
Anche la questione del federalismo, che qualifica questa fase storica, richiederebbe una riflessione ed un impegno molto superiori a quelli messi in campo dai partiti cui è affidata questa riforma istituzionale, nel 150º anniversario dell’Unità nazionale.

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Paola Molino

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