Quei cantieri di lavoro

Aiuti a chi è in difficoltà nel Pinerolese

Qualcuno avrà letto la notizia pubblicata da "L'Eco" una settimana fa: "Sette posti per diplomati ma rispondono in due". Si tratta di un intervento, nel Pinerolese, per venire incontro a chi non ha lavoro, con l'obiettivo di «sviluppare forme di sostegno per situazioni occupazionali più gravi e facilitare l'inserimento nel mondo produttivo». Sono 65, complessivamente nel Pinerolese, i posti disponibili e di questi sette sono riservati a diplomati (si tratta di lavori a supporto degli uffici comunali).
La notizia ha suscitato la veemente reazione di una lettrice di Vigone che scrive testualmente: «Per favore, basta dare queste notizie. Si tratta dell'ennesimo schiaffo alla precarietà e a quello che ne consegue».
Tutto dipende però dai punti di vista. E mi spiego. In una situazione difficile come l'attuale per chi è alla vana ricerca di un lavoro una retribuzione di sei mesi, per lavori che certo non saranno massacranti, è già meglio di niente.
D'accordo che la "paga" è modestissima: 31,32 euro per ogni giorno di lavoro (sei ore giornaliere) ma se i giorni lavorativi a fine mese sono 22 si tratta di circa 690 euro (se dovessimo rapportarlo ad un orario normale di 39-40 ore settimanali di lavoro si tratterebbe di una cifra di poco superiore ai 900 euro).
La domanda che mi pongo - di fronte a chi parla di uno schiaffo alla precarietà - è questa: meglio stare a poltrire a casa e certo non guadagnare nulla, oppure puntare almeno ad una occupazione di sei mesi che, mal contato, significa una retribuzione complessiva di quattromila euro?
Il Comune di Pinerolo in collaborazione con la Provincia di Torino non può fare miracoli con le risorse ridotte all'osso. E va già bene che vengono offerte queste opportunità invece di nulla. Approfittiamone almeno.
Lo stupore nasce proprio dal fatto che a fronte di sette posti di lavoro - si tratta pur sempre di 4.000 euro da incassare in sei mesi - le richieste siano state soltanto due.
È questo il vero schiaffo alla precarietà.

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Paola Molino