L'Italia un Paese che naviga a vista

Si potrebbe ripetere, con riferimento alla coalizione guidata da Berlusconi, ciò che Berlinguer ha detto del regime sovietico a metà degli Anni '80: «Si è esaurita la spinta propulsiva». Una maggioranza relativa, che il sistema elettorale ha trasformato nella più forte maggioranza parlamentare della storia repubblicana, per governare deve ricorrere continuamente al voto di fiducia. La maggioranza si è cioè trasformata in una dittatura. Eppure la maggior parte dei commentatori pensa che questo Governo non concluderà la legislatura, anche perché appare sempre più sotto lo scacco della Magistratura.
Eppure Berlusconi sembra non avere alternative. Negli ultimi mesi la maggioranza di destra si è indebolita: sono diventate più pesanti le critiche di Fini, ed anche la Lega ha reso più espliciti i punti che la differenziano rispetto al Popolo della libertà. Ma anche l’opposizione di centrosinistra si è indebolita, poiché non riesce a risolvere le contraddizioni che l’hanno costretta a cambiare, nell’arco di dieci anni, il suo leader: prima Prodi, poi Rutelli, Veltroni, Franceschini, Bersani… Quasi sempre con le "Primarie"… E ad ogni passaggio il Pd ha rischiato l’implosione, mentre resta incerta la sua identità e crescono le perplessità dei cattolici democratici. I sondaggi dicono che le astensioni, vicine al 40 per cento degli elettori, crescono sia a danno della destra che della sinistra. Ed il "terzo polo", sognato da Casini e Rutelli, resta incerto sulla strada da imboccare e non decolla.
Il bipolarismo si è impantanato ed ogni schieramento appare condizionato, più che dal partito che dovrebbe essere il perno della alleanza, dall’alleato da cui dipende il successo elettorale. A destra è la Lega a tenere il timone della nave, mentre nella coalizione di centrosinistra il timone è nelle mani di Di Pietro, anche se il cuore del Pd batte più a sinistra e molti elettori della sinistra sognano la leadership di Vendola. Così il Paese naviga a vista, in un tempo caratterizzato da una bufera dell’economia che sembra aver tolto ogni speranza ai giovani, e Tremonti può imporre una "manovra" che appare necessaria nella sua entità, ma che finirà con il pesare tutta sulle spalle delle fasce sociali più deboli. A questa linea politica ultra liberista, i riformisti non sono riusciti ad opporre un progetto attorno al quale mobilitare l’opinione pubblica. L'Italia resta divisa, socialmente e politicamente, malgrado i continui appelli del Presidente Napolitano all’unità, e senza una forte coesione sociale è molto difficile che si possano varare le riforme necessarie per uscire dalla crisi che erode le capacità produttive dell’economia nazionale (vedasi il caso di Pomigliano); ed è ancora più difficile che si possano assumere le iniziative per il varo del federalismo fiscale.
Per ora, il Governo centrale ha deciso di scaricare sulle Regioni e sui Comuni l’onere del risanamento dei conti pubblici; ma Regioni e Comuni sono di fronte ad un bivio tremendo: se non impongono nuove imposte, se non fanno pagare nuovi ticket ai cittadini, saranno costretti a "tagliare" servizi fondamentali per le famiglie. Il federalismo rischia così di entrare in conflitto con il welfare (previdenza, assistenza, istruzione, sanità, trasporti pubblici).
Dopo oltre vent’anni di sterile polemica sulla pressione fiscale, questa del welfare diventerà la questione da discutere.
Se vuole riconquistare la centralità che ha perduto, la politica deve rischiare l’impopolarità, deve cioè porsi al servizio del bene comune, non degli interessi particolari, in molti casi supportati dalle lobby e dai poteri occulti.

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Paola Molino